sabato 7 maggio 2011

Tesina Saggitica Italiana (Prof.ssa Annamaria Cavalli)

"Federico"

Introduzione:

Questa è la rielaborazione di alcune pagine del mio "diario-epistolario" personale, la cosa più segreta che ho, lo scrigno dei miei pensieri e dei miei desideri, che tengo, a fasi alterne, dalla tenera età di dodici anni, quando rimasi folgorato dagli eroi della letteratura russa del XVIII-XIX secolo.
Il 26 gennaio del 2009 il mio caro amico Federico è morto durante una partita di calcetto, a cui partecipavo in veste di allenatore, essendo ancora convalescente dopo una brutta influenza.
La sua è stata davvero una morte atroce in quanto è stato colto da un infarto improvviso, con decine di persone sugli spalti ed in campo che assistevano impotenti a questa scena drammatica.
In queste poche righe c'è il racconto della mattina dopo l'incidente e del giorno successivo (quello delle esequie).

"Federico"

Massa, 27 gennaio 2009

E' arrivato il mattino, finalmente. Mi alzo dal divano in uno stato catatònico: sono confuso, mi bruciano gli occhi e le tempie battono all'impazzata... non ho chiuso occhio nemmeno un istante durante la notte. Cosa mi è accaduto e, soprattutto, è davvero accaduto a me?
Ho la netta percezione di aver sognato ad occhi aperti mentre mi muovo mollemente e dolcemente, barcollando verso il bagno per farmi quella doccia gelata che credevo essermi utile per comprendere meglio la mia nuova situazione emozionale-emotiva.
Niente di fatto. La testa esplode, pare gonfiata troppo con dell'elio, gli occhi vogliono uscirmi fuori dalle orbite: ormai non riescono più nemmeno a lacrimare, rimangono sbarrati, fissi, ancora attòniti, nella disperata ricerca di un punto a cui appigliarsi saldamente, un pensiero forte e sereno che porti la mia mente a pensare ad altro.
Ma non ci riesco, tutto risulta vano perché nel fondo della rétina è rimasto impresso il tuo volto, i tuoi inutili tentativi di cercare un sospiro di aria fresca e vitale, il tuo ansimare, sbuffare, rantolare, contorcerti, il tuo stringermi la mano cercando disperatamente di aggrapparti alla vita.
E poi? Più nulla: un fremito, un ultimo sussulto, il tuo sguardo che incrocia il mio e d'un tratto è perso nell'abisso, cerca di scrutare nel profondo della mia anima per capire cosa stesse accadendo.
Il tuo sguardo si spegne improvvisamente, un bianco infernale adesso ne è il padrone, i tuoi occhi si rivolgono verso l'interno: forse, adesso, stanno guardando dentro di te, stanno cercando di trovare un senso a tutto questo, oppure stanno guardando, come in un film, tutti i tuoi ricordi passati...
Mi rendo conto che non ci sei più: anche i soccorsi, che in quel momento arrivavano, non avrebbero potuto fare niente per riportarti indietro, la soglia era ormai da te già varcata, Federico.
Non dovevi morire così, non è giusto: passi trentaquattro anni a lottare, a crescere, a costruirti un futuro e cosa concludi?
Muori durante una partita di calcetto con i tuoi amici intorno a te attòniti, smarriti e col pubblico sugli spalti che crede di essere spettatore di un reality show.
Ma non è una finzione, non è uno spettacolo di intrattenimento, è la tragica fine di un ragazzo mise-en-scène su di un palco involontario, alla mercé di un pubblico inconsapevole della macabra rappresentazione a cui avrebbe assistito.
E adesso? Non ci voglio pensare, voglio andare avanti, voglio ingannarmi, credere che tu sia ancora vivo, credere semplicemente che la morte non esiste, che è tutta una finzione, credere che vivrò, che vivremo, tutti, per sempre.
Ma non è così, la realtà non è questa, purtroppo: a trentatrè anni, d'improvviso, ho scoperto la morte in tutta la sua tragicità.
Non la morte che consuma, felice e soddisfatta del suo lavoro, con la malattia ed il dolore, i malati. Ho scoperto la nera signora con la falce ben affilata, quell'immagine tanto cara all'iconografia medievale per intenderci, colei che arriva alle spalle, ti prende e ti porta via senza concederti neppure il tempo di dire addio ai tuoi cari, senza neppure darti il tempo di comprendere cosa ti stia succedendo: la beffarda livellatrice.

Massa, 28 gennaio 2009

La situazione non migliora affatto. Il ridicolo tentaivo d'ingannarmi non ha sortito alcun effetto apprezzabile. Il pensiero è ancora fisso, inchiodato, crocifisso a quei momenti.
Prendo coscienza del fatto di non aver ancora mangiato nulla da lunedì sera: ma adesso è tardi, devo andare al funerale.
Infatti, durante questa notte insonne, ho deciso di essere presente alle tue esequie, Federico.
Questo dopo una estenuante lotta interiore: alla fine il cuore ha prevalso, voglio starti vicino durante il tuo ultimo viaggio, voglio avere definitivamente la certezza che tutto questo è realmente accaduto, voglio avere la conferma che la tragedia a cui ho assistito sia stata reale, per provare a superarla una volta per tutte.
Quindi adesso, Mirko, alzati dal divano, fatti una corroborante doccia, vestiti elegantemente e guida con estrema nonchalance verso il Duomo di Massa: se tutto è vero, come credo, l'intera città di Massa dovrebbe essere lì presente per renderti omaggio, caro Federico.
In questo preciso istante ho la certezza di essere "posseduto" da una sorta di spirito che pilota ogni mia funzione vitale, momentaneamente ritrovatesi in uno stand-by di stupore... è una strana sensazione che non ho mai provato in precedenza ed a cui devo, giocoforza, adeguarmi: mi pare di essere all'esterno del mio corpo, sollevato a tre metri dal suolo che mi guardo, come fossi ad assistere ad uno spettacolo di pupi, muovendo i fili del mio personaggio a seconda delle varie situazioni che mi si presentano davanti.

Massa, 29 gennaio 2009

Ieri sera sono riuscito a mangiare qualcosa e, fortunatamente, anche la stanchezza di queste ore concitate ha avuto la meglio sul mio fisico per cui, stanotte, sono finalmente riuscito a chiudere occhio per qualche minuto.
Ovviamente il mio è stato un riposo costellato da atroci incubi: ancora negli occhi balenano le immagini di ieri, i suoni sincopati, gli odori pungenti di chiesa, il cicaléccio della folla anonima.
Come in un tipico b-movie americano del genere horror-splatter, mi ritrovo a ripercorrere i vari istanti del funerale come fossero fotogrammi, spezzoni di una pellicola in bianco e nero mal sincronizzata: voci confuse che paiono minacciose, che mi parlano cercando di darmi la forza che in quel momento non posso e non voglio avere, mani che cercano le mie mani e poi abbracci, baci, lacrime, sudore acre, incenso stucchevole e fiori.
Eccoci, noi, i ragazzi della squadra: la gente ci chiede di capire se quell'incidente è davvero avvenuto ed anche noi abbiamo la medesima domanda da porre loro.
Vogliamo comprendere se gli istanti surreali e devastanti che abbiamo vissuto insieme a Federico siano, o no, stati reali: ma sono gli occhi rapaci delle persone che ci osservano con cupidigia, arandoci con curiosità e rispetto, commiserandoci, che ci fanno constatare che, purtroppo, tutto è vero, tutto questo è reale, concreto ed atroce.
Ed ecco il feretro, il fermacarte che àncora, fissandola inamovibilmente al suolo, la certezza che non si è affatto trattato di un sogno.
Una voce ci chiama in prima fila per sollevarti, Federico.

Insieme a te scendiamo le austere scale biancomarmate del Duomo, attorniati da due ali di folla silente: i loro occhi conficcati addosso come pugnalate.
Ma, inaspettatamente, ecco che le lacrime si mescolano ad un beffardo sorriso: siamo quasi felici di accompagnarti verso la tua ultima destinazione, è un atto a te dovuto, un'ultima forma d'amore che meriti e che ti doniamo con gioia immensa.
Adesso sento la carne pulsante che è racchiusa dentro la mia cassa toracica correre aritmicamente, a scatti, quasi volesse esondare dalla sua sede naturale, esplodendo in mille frammenti; le gambe sono molli, cedevoli, il volto spento, assente, ceruleo, cristallizzato in una smorfia deformata: ma lo spirito che da qualche ora mi anima ha deciso che devo continuare a camminare silenziosamente.
Ecco che la tua squadra ti depone, Federico: adesso siamo tutti, di colpo, più sereni; sappiamo che la tragedia ha raggiunto l'acme e che, da ora in avanti, potremo cercare di dimenticare ogni aspetto negativo.
Ma ci resta ancora un compito "istituzionale": adesso dobbiamo darci in pasto alla folla che si fa sempre più vicina, ci tocca, ci annusa, vuole conoscere morbosamente ogni macabro particolare, un esercito di zombie cannibali che ci fa paura.
Ma nessuno, tranne noi e tu, Federico, potrà mai capire ciò che realmente abbiamo vissuto: nessun altro potrà mai capire ciò che noi, probabilmente, non sapremo più nemmeno raccontare a noi stessi.

Massa , 30 gennaio 2009

Oggi è un nuovo giorno. Il sole bacia lentamente l'albero di albicocco che dorme placido in giardino. Comprendo, finalmente, il senso di questa triste storia ed ho finalmente il coraggio di sorridere per davvero: addio, amico mio.

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