"La carta e le sue ripercussioni sociali"
Ripensando alla totalità delle esperienze che ho vissuto fin dalla primissima infanzia, sono giunto alla conclusione che la mia vita (e quella di tutto il genere umano) e, di conseguenza, il mio sviluppo psico-fisico, sono stati costantemente influenzati dalla "carta".
Dal libro incantato delle fiabe che di sera mia madre mi leggeva affinchè mi addormentassi sereno, passando all'odiato registro di classe in cui i professori vergavano il destino dei propri allievi, per approdare alle prime lettere d'amore scritte per la mia Beatrice d'allora, la mia vita, come quella di qualsiasi altro essere umano, è stata decisa dalla "carta", è sancita da essa.
In buona sostanza dalla "carta" viene suggellato ogni passaggio della vita di ognuno di noi.
Inoltre, parlando di "carta", si parla fatalmente anche della storia politica e sociale dell'uomo.
La "carta" è il più perfetto strumento di comunicazione: con essa si tramanda il sapere, in essa si scrivono le leggi che regolano la società, si fissano i propri e gli altrui pensieri.
La "carta" è, in sintesi, il tramite perfetto, il vero Caronte della nostra civiltà: è grazie alla "carta" che l'uomo, ed il suo pensiero, evolvono nel corso dei secoli.
Come non pensare al famoso detto "carta canta": la "carta" è una sorta di pietra miliare su cui misurare le tappe della nostra esistenza (dall'atto di nascita a quello di morte, tutto è scritto, annotato correttamente e registrato in appositi archivi, che divengono così i depositari della verità).
Questo pensare alla "carta" come "registro di memorie" e come "giudice supremo" di ogni uomo che sia mai esistito (e che in futuro esisterà) sulla faccia della terra è, nella sua infinita semplicità, sbalorditivo e sorprendente al tempo stesso, in quanto spalanca le porte ad alcune possibilità di riflessione del tutto nuove ed inaspettate: ma, come ben sappiamo, sono proprio le cose ovvie e scontate quelle più difficili da descrivere in quanto, avendo la comodità di tenerle sempre a portata di mano (e di mente), non ci prendiamo mai il tempo occorrente per rifletterci sopra seriamente.
Di conseguenza, quando lo facciamo, approdiamo giocoforza a dei risultati sbalorditivi, inaspettati e decisamente sconvolgenti.
Innanzitutto, la riflessione su tutto ciò che è "carta stampata" (e suoi precedenti: dall'incisione rupestre, al rotolo, al codex) è, per prima cosa, una riflessione sull'origine del pensiero umano e sull'atavica necessità-bisogno dell'essere umano di comunicare con i propri simili per scambiarsi informazioni utili ma, al tempo stesso, per cercare il modo di differenziarsi dagli altri e primeggiare su di essi, dimostrando la propria abilità e superiorità dal resto degli elementi del branco, attuata mediante un sano utilizzo della ragione (che differenzia l'uomo dalla bestia), dell'intelletto e della creatività.
A questo punto dobbiamo ricordare che la creatività trova, nella "carta" (ed in questa accezione, qualsiasi cosa diviene "carta": dal muro in cui ad Altamura gli uomini primitivi dipingevano le loro pitture, al papiro che gli scribi egiziani riempivano di geroglifici sacri e misteriosi...) il mezzo di perfetta espressione: col tramite della "carta" l'uomo riesce a trasmettere ed a conservare per i posteri la propria cultura ed il proprio pensiero.
E non è finita qui: con l'uso della scrittura, della pittura e della scultura su di una determinata superficie, con lo scorrere inesorabile degli anni, si crea quella che viene definita come "tradizione" che poi altro non è che quell'elemento fondante di ogni civiltà (o popolo che dir si voglia).
La tradizione è l'insieme degli usi e dei costumi di una particolare popolazione, con l'intero corpo delle sue leggi e la sua particolare evoluzione storica e politica nel corso dei secoli.
Va ricordato che quello della creazione della tradizione è un ganglo fondamentale nella formazione di uno Stato-Nazione, perchè senza tradizioni non si può progredire realmente, in quanto è solo col tramite delle esperienze passate che si possono tenere saldamente in mano le redini del futuro di un popolo, conducendolo serenamente (ed evitando che si reitirino gli errori passati) verso la democrazia perfetta: ma questa è una vera e propria utopia umanistica di stampo campanelliano.
La sintesi di questa prima parte del mio ragionamento è questa: è essenzialmente merito della "carta" se l'uomo riesce, nel corso della sua lenta ed inesorabile evoluzione, a prendere coscienza di se stesso, riuscendo finalmente ad esprimersi nel pieno delle proprie capacità psico-fisiche.
Grazie all'ausilio della "carta" l'uomo riesce a progredire (e non è una vuota frase di stampo positivistico questa, è una solida certezza), sconfiggendo con essa ogni propria ancestrale paura, ogni oscuro retaggio dei secoli bui.
L'uomo ha da sempre paura dell'ignoto, del proprio futuro che egli vede incerto, della morte: ogni essere umano ha, in definitiva, paura di scomparire per sempre senza prima aver lasciato una traccia tangibile di sé, un'orma incancellabile del proprio fugace passaggio su questo nostro tanto vituperato (e depauperato, soprattutto) pianeta.
Questa è la ragione profonda che fa dell'uomo un vero e proprio grafomane, un cervellotico bipede pervaso dalla smania di riempire con segni (che, per giunta, dopo solo pochi anni divengono incomprensibili ai più) e con strani simboli, i più svariati supporti con i più svariati materiali: la smania d'immortalità, propria e per la propria gente.
Ma il termine "carta" può essere utilizzato anche come sinonimo di "libro", il quale è, a sua volta, il simbolo per antonomasia della cultura, della tradizione e, soprattutto, del potere.
Il libro è, a tutti gli effetti, una potente icona, la più potente e significante di tutte le icone esistenti.
Il libro è potentemente devastante ed è pure referenziale: ecco perchè esso incute paura e soggezione alla quasi totalità degli uomini ma, al tempo stesso, ne esercita un ammaliante e fatale richiamo attrattivo, come fosse una sirena di omerica memoria.
Particolarmente interessante risulta essere il rapporto di comando-servitù che il libro ha instaurato, nel corso dei secoli, col Potere.
E stavolta è proprio al Potere che mi riferisco, quello con la p maiuscola, quello invisibile, che è protetto dai Palazzi algidi ed impenetrabili e dagli abiti talari finemente e riccamente intessuti, quella silenziosa arma bianca che uccide le menti, e spesso pure i corpi, lentamente e con cortesia, senza lasciare alcuna traccia dei propri misfatti, col solo cinico scopo di perpetuarsi immutabile e sempre uguale in ogni era ed in ogni tempo.
Esiste un mezzo principale di controllo della carta stampata (e di tutti i mass-media in generale che si sono affacciati, e si affacceranno, sulla faccia della terra) che da sempre viene utilizzato dal potere: è lo strumento repressivo per eccellenza, utilizzato fin dalla notte dei tempi, è la censura.
Da sempre il potere ha addomesticato la "carta" con lo strumento censorio per asservirla ai propri tornaconti, compiendo con esso le peggiori nefandezze e le più alte ingiustizie.
Dobbiamo altresì ricordare che la censura è trasversale e micidiale perchè essa non necessariamente si applica bandendo, o non permettendo la pubblicazione, o mandando fisicamente al rogo, determinate pubblicazioni: essa, spesso e volentieri, è ancor più subdolamente celata.
Basta, di fatto, impedire che una tale informazione giunga all'umana platea, privando così, nella sostanza, il popolo della libertà di stampa e di informazione, ed ecco che la censura ha compiuto il peggiore dei delitti, ha costruito il suo sordo muro di gomma intorno ad una realtà ritenuta troppo scomoda, troppo ingombrante per essere portata alla conoscenza di tutti.
Questa forma di censura è quella che oggigiorno viene perpretrata in tutte le democrazie moderne (Italia inclusa, ovviamente) ed è la causa dell'attuale stato di agonia istituzionale e democratico presente nella nostra penisola.
Oggigiorno viviamo in una sorta di Tecnocrazia, come ben la definisce Neil Postman, e la nostra era sarà certamente ricordata dai posteri come l'era della dittatura della tecnologia.
In Italia la dittatura della tecnologia ha trovato fertile terreno: questo campo è stato infatti ben arato fin dai tempi della "Milano da bere" di craxiana memoria ed ha avuto un ottimo concime dal berlusconismo, in auge dalla metà degli anni Novanta del Novecento ad oggi.
Ecco un'ulteriore ed importante aspetto derivante dal controllo esercitato spietatamente dal potere sulla nostra beneamata "carta": il controllo esercitato sui mass-media crea gravi ripercussioni sulla libertà di espressione e di stampa e, di riflesso, anche sul grado di democrazia presente in un dato momento in un determinato Paese.
Adesso, terminato questo questo breve excursus sulla valenza socio-politica e storica della "carta", voglio tornare a parlare della mia esperienza lavorativa nel variegato e poliedrico (e azzarderei, ironicamente, anche un bel rutilante) mondo dell'editoria.
Ma, aspettiamo un secondo, la frase precedente mi ha stimolato e, prima di parlare del mio lavoro el mondo editoriale, voglio aprire un breve inciso: la "carta", o meglio la scrittura, è anche una sorta di registratore della nostra oralità; si dice, infatti, voglio parlarvi di, mentre si scrive.
La scrittura è, in buona sostanza, il corpo fisico della parola pronunciata, che è destinata alla dipersione se non viene raccolta, fissata con un qualche strumento: la scrittura diviene, altresì, strumento per riflettere.
Mentre scrivo con una penna su di un foglio di carta, ho a mia completa disposizione uno spazio mentale per metabolizzare e dare ordine al mio pensiero, per comprendere in profondità ciò che voglio esprimere agli altri (tesi sviscerata anche dal celeberrimo studioso Walter J. Ong).
Altra storia è l'odierna scrittura che si attua quando usiamo un personal computer: qui impera la mania di velocità, per cui assistiamo ad una scrittura poco (anzi, per nulla) controllata, con un florilegio di abbreviature, di errori di sintassi e di grammatica.
La scrittura al computer è, di fatto, la cartina di tornasole dell'odierna involuzione del genere umano in quanto è scrittura "volatile", non lascia alcuna traccia fisica del suo passaggio e viene usata al solo uso e consumo del nostro eterno "qui ed ora", non viene di certo mai usata per fissare concetti profondi da tramandare ai posteri: nell'attuale società il concetto di "posteri" non è contemplato, essendo nell'era del presente continuo, in cui il futuro non esiste, ergo, ci troviamo in piena ed affannosa corsa, in attesa di schiantarci contro contro il muro nichilista creato da noi stessi, col nostro egoismo solipsistico e col nostro vuoto edonismo.
La professoressa Alessandra Pozzi definisce, in maniera perfettamente calzante, la scrittura al computer "oralità scritta": noi scriviamo come se si stesse fisicamente parlando al nostro interlocutore.
Ricordiamo che la scrittura è specchio della civiltà che la usa e metro del grado di evoluzione e di cultura da essa raggiunto ed un impoverimento delle forme scritte usate porta, giocoforza, ad un imbarbarimento dei costumi e ad una progressiva decadenza socio-culturale.
Ma riprendiamo il discorso cominciato prima di questa parentesi sulla mia attività: ho trentacinque anni e, dalla tenera età di diciannove, sono il titolare di una libreria nel centro di Massa; pensate che all'epoca della mia "scesa in campo" nel mondo editoriale, dalla Mondadori mi dissero che risultavo essere il libraio più giovane di tutta Italia.
Dal 1995 ad oggi il mondo dell'editoria è profondamente e visceralmente mutato (e non necessariamente, aggiungo, in modo positivo) ed io ho cercato, nel corso degli anni, di adeguare la mia attività alle esigenze della clientela, seguendo ciò che il mercato richiedeva, anzi, cercando di anticipare le domande poste da esso, e questo per essere maggiormente competitivo e performante non appena i desideri della massa dei clienti si fossero effettivamente allineati alle previsioni di mercato, richiedendo determinati servizi e/o prodotti.
Ma non voglio dilungarmi ulteriormente in una tediosa analisi di marketing editoriale in questa sede, visto che non mi pare, francamente, il caso.
Cercherò qui di analizzare lucidamente le modificazioni che il prodotto libro ha subìto nel corso degli anni (soprattutto alla luce della progressiva digitalizzazione del supporto, che sta inesorabilmente passando dal modello fisico cartaceo ed analogico all'etereo bit-digitale, come giustamente rileva Manuel Castells) per cercare di comprendere quali possano essere gli sviluppi futuri dell'editoria (e quindi, dal lato egoisticamente imprenditoriale, per cercare di attuare le migliori strategie commerciali utili al proseguio del mio business nel nuovo scenario editoriale, evitando così di fare la tragica fine dei maniscalchi dopo l'avvento della strada ferrata).
Sicuramente il passaggio più interessante sarà poi il cercare di calare queste innovazioni nel contesto sociale, contestualizzandole per meglio cercare di capire se effettivamente il passaggio di consegne fra l'era analogica e quella digitale (tanto enfaticamente descritta da Nicholas Negroponte), sia realmente una cosa buona e giusta, oppure se essa avrà le spropositate conclusioni di una catastrofe biblica (tesi, questa, sposata da Jean Baudrillard nei suoi scritti che denunciano l'alienazione morale del nuovo mondo digitale): l'uomo, circondato costantemente dalla realtà, totalmente imbevuto di essa e di molteplici e continui stimoli sensoriali provenienti in tempo reale da ogni luogo del mondo, si troverà, di fatto, tragicamente solo, fluttuante in un continuo presente senza più memoria (se si vuole evitare l'oblio serve, fatalmente, creare una copia analogica-fisica di ciò che è puro bit, sequenza numerica arida e senza forma) ed in cui ci sarà difficoltà a riconoscersi come persona, in cui il corpo umano coinciderà con l'hardware di un elaboratore elettronico.
Riflettiamo: quando il nostro corpo sarà totalmente digitalizzato, a cosa servirà più il suo "supporto analogico di carne ed ossa"?
Ma adesso sto sconfinando nella pura fantascienza: ricominciamo con ordine.
Per meglio comprendere la portata epocale dell'avvento dell'era digitale in editoria, voglio citare alcuni dati numerici recentemente apparsi sulle pagine di "Italia Oggi", uno dei più autorevoli ed importanti magazine economici in Italia: nel nostro paese, culla della civiltà e della cultura, storicamente affollato di Santi, Navigatori e Poeti, nel corso del 2010, il 66% della popolazione sopra i 14 anni non ha acquistato nemmeno un cd/dvd, il 61% non ha partecipato ad alcun evento live, ed il 45% non ha comprato neppure un libro.
Come interpretare questi dati, di sicuro poco confortanti per una persona che, come me, sopravvive grazie alla vendita dei libri?
Prima di azzardare una qualche ipotesi, dobbiamo però tener conto di un ulteriore e significativo dato emerso dalla medesima ricerca pubblicata dal prestigioso giornale economico sopra citato: il 40% della popolazione italiana sopra i 14 anni nel 2010 ha usato stabilmente le nuove tecnologie informatiche ed ha un approccio alla cultura attraverso il variegato mondo della "rete delle reti" che è il World Wide Web (o Internet che dir si voglia).
E' sicuramente più comodo ed economico partecipare ad un concerto o ad una rappresentazione teatrale o ad una partita di calcio, restando comodamente seduti a casa propria di fronte al moderno schermo lcd (o al plasma) del nostro televisore o del nostro personal computer.
Ma abbiamo idea della ripercussione sociale che la capillare diffusione di questo atteggiamento avrà sull'umanità intera?
Personalmente, non essendo un integralista tecnologico ma, bensì, essendo un feticista dell'era analogica, aborro profondamente l'uso (o meglio, l'abuso) che si sta facendo e che fatalmente si continuerà a fare anche nel prossimo futuro, ed in maniera ancor più maggiormente totalizzante, di internet e del mondo virtuale in generale: se penso ad una società umana in futuro sempre più imbrigliata e legata stretta alle proprie poltrone dalle eteree maglie della "rete delle reti" ho i brividi, quasi dei conati di vomito (è il famoso "rigetto tecnologico" da me recentemente inventato e non ancora portato però, come sarebbe giusto, alla ribalta del mondo accademico mondiale).
Questo perchè, come è facilmente intuibile, il Potere (di nuovo con la p maiuscola) cercherà di assoggettare gli ignari cittadini alla sua volontà, grazie al fantastico strumento di controllo della censura che in internet trova il suo massimo grado di espressione possibile: pensiamo a quello che ha recentemente attuato il governo cinese che, togliendo l'energia elettrica ai server dei siti internet ad esso contrari, in un sol colpo è riuscito a controllare capillarmente tutta l'informazione proveniente dal suolo della repubblica popolare, oscurando, di fatto, tutti i siti contrari alla politica del regime comunista che da decenni è al governo in quel paese.
Nell'era digitale l'uomo passa dall'uso della "carta" all'utilizzo del bit: il focus adesso si sposta sul controllo delle comunicazioni digitali, che vengono controllate direttamente dai potenti e dai politici, esattamente come nei secoli passati veniva fatto sui libri, prima, e sulla carta stampata, poi.
Adesso è il momento di internet in quanto le notizie si cercano e si trovano (non sempre quelle reali, spesso quelle addomesticate o preconfezionate, a dirla tutta) in quel supporto elettronico e digitale che ha quasi definitivamente soppiantato l'ormai obsoleto mezzo analogico che è la nostra beneamata "carta".
L'uso di internet ha accellerato esponenzialmente quel fenomeno di controllo delle masse che le multinazionali (che sono ormai delle vere e proprie organizzazioni politico-economiche sovranazionali, fuori da ogni controllo: producono dove costa meno, cioè nei paesi in via di sviluppo che, così continuando, rimangono sempre in condizione di pseudo-schiavitù, distruggendo il mercato del lavoro; tengono sede fiscale dove pagano meno tasse, facendo la fortuna dei piccoli staterelli a loro compiacenti e, in ultimo, vendono le loro merci a basso costo in tutto il pianeta, continuando così a distruggere le economie locali, quelle che storicamente hanno prodotto il benessere a livello mondiale e che adesso sono messe in crisi, dalla logica consumistica di questi colossi multi e sovra nazionali, che continuano a macinare profitti di miliardi di dollari in barba a tutto il pianeta) stanno cercando di compiere dai primi decenni del secolo scorso.
Particolarmente interessante da osservare è il celeberrimo caso dei messaggi subliminali, già descritti nel famoso libro del 1957 di Vence Packard "I persuasori occulti" e dagli studi di James Vicary.
Questi particolari messaggi sono stati usati per scopi pubblicitari e, cosa ancora più grave, per propaganda politica, fin dagli anni quaranta del novecento.
Essi agiscono a livello inconscio, essendo dei frame contenuti all'interno di un film o di una pubblicità, che non c'entrano nulla con esso ma che contengono alcuni segnali invitanti per gli spettatori, i quali rimangono fortemente impressionati (sempre a livello inconscio) a tal punto da modificare il proprio comportamento nell'immediatezza dell'esposizione ad essi.
Ad esempio, in America, i gestori delle sale cinematografiche li usavano negli anni cinquanta per incentivare il consumo di pop-corn e di Coca-Cola.
Non oso pensare a quale malsana collaborazione possa essere nata, sempre in quegli anni di maccartismo imperante, fra il Pentagono e gli stessi gestori: ma la "teoria del complotto" da sempre viene o derisa o messa a tacere dal Potere per renderla inoffensiva e poco attraente per la massa.
Comunque sia, oggigiorno si dice che i messaggi subliminali non siano più utilizzati, anzi, per le leggi della stragrande maggioranza dei paesi del mondo, essi sono stati messi al bando: per forza, aggiungo io, adesso non è più necessario agire sulle menti delle persone a livello inconscio, ormai la lobotomizzazione di massa è stata compiuta.
Vano è stato l'urlo di dolore lanciato dalla visionaria voce di Demetrio Stratos nell'ormai lontano 1974 che, con la canzone contenuta nel secondo lp degli Area, dal titolo, appunto, di "Lobotomia", denunciava il Tg di Stato ed il Carosello quali principali artefici dell'analfabetizzazione civile e politica della società a loro contemporanea.
Oggi che tale addomesticamento delle masse può dirsi concluso, al Potere basterà mantenere costante la censura e, al contempo, offrire al pubblico ciò che ad esso serve per non dover compiere lo stancante esercizio del pensare troppo, o del mantenere attivo un decente spirito critico (che sarebbe l'unico salvagente utile per trarci in salvo in questo imperante mare di volgarità odierno): sesso, sport, gossip... ed il gioco è fatto signori!
Ma noi cittadini, cosa pretendiamo di più?
Ci viene data la falsa tranquillità di un domani radioso, senza più crisi economiche, col lavoro garantito per tutti, chiedendoci in cambio "solo" di non pensare, di non reagire, di non indignarsi di fronte ai soprusi del loro Potere.
Come sono retrogradi i librai che, come me, a questo non vogliono allinearsi.
Come sono scomode le persone che, come me, stanno cercando di mantenere uno status "analogico", contrapposto all'imperante ed omologante dominio dell'era digitale o, meglio, dell'essere digitale di negropontiana memoria: non voglio andare più veloce, non voglio essere contemporaneamente in riunione a Pechino, mentre telefono a Parigi nel frattanto che invio una e-mail a Barcellona e spedisco un fax a New-York.
A tal proposito, mi piace citare un dato a dir poco sconcertante, portato da un indagine commissionata ad una società di ricerca nel 2009 dalla CiscoSystems, azienda leader mondiale del networking: la giornata dell'uomo moderno, la cosiddetta "giornata digitale", è oggi di 36 ore, ed è previsto un allungo di essa fino a 48 ore entro il 2013.
Tutto questo è potuto avvenire grazie alla possibilità, portata dall'informatica e dal miglioramento delle reti di comunicazione, di poter lavorare multitasking, cioè eseguendo più operazioni nello stesso momento.
Ma tutto questo è illusorio, infatti, la mente umana, è adatta a svolgere solamente un compito alla volta, rarissimamente si possono fare due cose contemporaneamente (come, ad esempio, guidare ascoltando la musica).
Questo sforzare la mente a lavorare (illusoriamente) simultaneamente su più fronti porterà, in futuro, alla formazione di una società di perfetti idioti, però altamente informatizzati, calati in una realtà che è eterno presente e nessun-luogo (si potrà essere potenzialmente dovunque stando, nella realtà, perfettamente fermi, comodamente seduti nella poltrona di casa propria o del proprio ufficio).
Ed io, ancora una volta, voglio essere una voce fuori dal coro, voglio remare controcorrente: non voglio più trovare le fragole ed i pomodori negli scaffali del supermercato vicino a casa mia per dodici mesi all'anno.
Voglio mele ammaccate, arance ammuffite,voglio vivere in un mondo che sia più a portata di essere umano, voglio vivere lentamente in un mondo che lasci uno spazio di libera espressione a tutti, un mondo che non sia più omologante, un mondo che pensi realmente alla solidarietà ed alla fratellanza fra i popoli, un mondo che veda applicate in esso le teorie scomode dell'ormai ottantenne economista francese Serge Latouche, il quale predica il localismo e la decrescita conviviale, contro il consumismo imperante e le teorie economiche basate sulla crescita continua (che di per sè è irrealizzabile e delateria, in quanto, per essere attuata, presuppone un costante e progressivo utilizzo delle risorse naturali del nostro pianeta che sono, per loro natura, finite in un mondo che è, di per se, finito).
Questa malsana politica economica e sociale ha portato la terra ad un livello di invivibilità ed inquinamento ormai fuori controllo.
E' giunta l'ora della riflessione, del ripensamento globle: è giunto il momento, per tutti noi, di compiere quel necessario passo indietro, per ritornare a quella forma primaria di società solidale, in cui l'oralità e la corporalità erano preponderanti e l'intelligenza ed il pensiero umano venivano registrati fisicamente allo scopo di essere tesorizzati ed essere tramandati alla collettività futura per la sua crescita.
L'attuale era digitale crea esseri umani soli e disperati.
Personalmente all'idea di questa deriva sociale non mi ci potrò mai abituare e lotterò allo stremo delle mie forze finchè la mia flebile voce non verrà ascoltata da qualcuno: questa tesi è sicuramente un buon inizio.
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